La villa è il modello ideale dell'architettura palladiana.
ANDREA PALLADIO
Figlio del mugnaio Pietro della Gondola e di Marta detta "la zota", Andrea nacque a Padova nel 1508 e qui compì le sue prime esperienze come scalpellino, ma le condizioni di lavoro erano così dure che egli fuggì, nel 1524, a Vicenza, dove lavorò in una bottega di scultori.Tra il 1535 e il 1538 conobbe Giangiorgio Trissino, poeta e umanista, che lo prese sotto la sua protezione, guidandolo nella sua formazione culturale basata sullo studio dei classici Fu proprio lui a soprannominarlo Palladio e a condurlo più volte a Roma. Qui Andrea potè osservare dal vivo e studiare i monumenti imperiali, qui incontrò i "grandi" del tempo: Michelangelo, Sebastiano Serlio, Giulio Romano, Bramante. Intorno al 1540 iniziò la sua attività autonoma di architetto, con opere come il Palazzo Civena a Ponte Furo (Vicenza) e la Villa Godi a Lonedo, poi nel 1549 lavorò alla ricostruzione delle Logge della Basilica di Vicenza. Da allora le nobili famiglie vicentine e veneziane si contesero l'attività del Palladio, che costruì opere famose come il Palazzo Chiericati, la Malcontenta a Mira, le chiese veneziane del Redentore e di S. Giorgio Maggiore, fino alla notissima Rotonda. Nel 1570 Palladio pubblicò il trattato "I quattro libridell'architettura", che esprime i suoi ideali ed anche la sua concreta esperienza. Negli anni '70 fu a Venezia in qualità di "proto", cioè consulente architettonico, della Serenissima. Tra febbraio e marzo del 1580 vennero avviati i lavori per la costruzione del Teatro Olimpico ma, prima che l'opera fosse completa, il Palladio morì il 19 agosto 1580.
VILLA VALMARANA AI NANI
LA LEGGENDA DI JANA
A Vicenza non si può evitare una visita all'artistica e famosa villa Valmarana, costruita a partire dal 1669 e affrescata dai Tiepolo, padre e figlio, nel 1757. Qui si narra che anticamente un principe ricco e potente avesse eretto un lugubre castello cinto d'alte mura in modo che la sua unica figlia, Jana, nanerottola e deforme, non dovesse soffrire vedendo altra gente più bella di lei. Per questo motivo i servitori che circondavano la fanciulla erano tutti nani. Molti giovanotti, però, attratti dalla ricchezza del principe e dal bel viso della fanciulla venivano a chiederla in sposa, ma non appena scoprivano la sua deformità si ritiravano con qualsiasi pretesto. Finchè un giorno la povera fanciulla si innamorò perdutamente di uno dei tanti pretendenti che, come al solito, avendola vista, era fuggito da lei. L'infelice si affacciò allora al balcone che guardava verso la strada e cominciò a chiamare il beneamato e a sporgersi senza alcuna precauzione, tanto da cadere sulla strada e morire. Si racconta che i nanetti, saliti sul muro di cinta per vedere cosa stesse accadendo, siano rimasti impietriti dal dolore. In questa posa tuttora li vediamo, posti come sculture decorative della villa a loro intitolata.
Coanto gustoso e coanto chel xe bon, dopo bagnà e fato cusinare. A parlo de che pesse, che el riva da lontan, da insima a la Nosvejae insaporio dal mare. Prima merlusso fresco, ma coando el xe secà, coà par noaltri veneti, el deventa "bacalà". El xe tanto conossudo, a credo in tuto el mondo ma la so nobiltà, xe solo da noaltri, da boni polentoni, che el se la ga ciapà. Sposando la poenta el se ga fato un sior, avendo par compare on goto de vin bon. De fato sol cussì, risaltà la bontà e in tute le maniere che'l vegna cusinà, par chi che se ne intende e che lo ga magnà el moto resta sempre: "Poenta e bacalà".
Adriano De Zotti
VICENTINI "MAGNA GATTI"
Molti dicono che i Vicentini mangiano i gatti perché hanno patito la fame durante la guerra. Non è proprio così. L’affermazione è stata espressa per la prima volta da un doge veneziano. Come si sa, Vicenza, circondata da corsi d’acqua, dal 1404 al 1797 è stata dominata dalla Repubblica di Venezia, la quale ha arricchito il territorio di palazzi, ville, monumenti in genere, ma ha anche imposto regole e comportamenti. Era Venezia che forniva anche i gatti per eliminare i topi diffusi ovunque. Il governatore della città ebbe modo di domandare più volte la fornitura di gatti per estirpare i topi dall’archivio. Alla terza volta si dice che il doge, preoccupato di doverne fornire ancora, esclamò “Vicentini mangiate i gatti”. Da allora i Vicentini sono sempre accompagnati da tale epiteto.
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